Lo scorso aprile, il pemigatinib ha ottenuto un’approvazione accelerata da parte della Food and Drug Administration per il trattamento di pazienti adulti con colangiocarcinoma localmente avanzato non resecabile o metastatico, positivo per fusioni, o altri riarrangiamenti, del gene FGFR2.

Il carcinoma delle vie biliari è un gruppo eterogeneo di tumori altamente maligni comprendente il colangiocarcinoma intraepatico (iCCA), extraepatico peri-ilare (pCCA), extraepatico distale (dCCA) ed il tumore della colecisti (GBC).
Con un tasso di incidenza inferiore a 6/100.000 nella maggior parte dei Paesi, i colangiocarcinomi sono considerati tumori rari. Tuttavia, l’incidenza è in aumento in tutto il mondo soprattutto a causa del crescente numero di nuovi casi di iCCA.
La prognosi purtroppo è sfavorevole: soltanto il 5-15% dei pazienti sopravvive a 5 anni dalla diagnosi. Diagnosi che nel 60-70% dei casi viene fatta quando la malattia è già in fase avanzata (non resecabile) o metastatica, a causa della tardiva manifestazione dei sintomi clinici e dell’assenza di biomarcatori specifici. Per tale motivo, l’unica opzione terapeutica potenzialmente curativa, la resezione chirurgica, è destinata soltanto al 30-40% dei pazienti, la maggior parte dei quali (60-65%), peraltro, incorre in recidive. L’unica opzione di trattamento in prima linea per i pazienti con malattia avanzata è la chemioterapia palliativa con gemcitabina e cisplatino. Mentre il FOLFOX è stato l’unica terapia di seconda linea disponibile per i pazienti che progredivano al CisGem, finché non sono state identificate anche nel colangiocarcinoma delle alterazioni genomiche con potenziali implicazioni terapeutiche.

Le principali alterazioni genomiche druggable sono state riscontrate nel colangiocarcinoma intraepatico (circa il 50% dei pazienti) e tra queste, quelle che si sono dimostrate più promettenti come target sono le mutazioni di IDH (presenti nel 18-36% dei pazienti con iCCA) e le fusioni di FGFR2 (presenti nel 10-16% dei pazienti con iCCA). Questi due tipi di alterazioni tendono ad essere mutualmente esclusivi.
La famiglia del recettore per il fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR) consiste di quattro sottotipi di recettori trans-membrana con domini tirosin-chinasici intracellulari (FGFR 1-4).
Sono stati identificati fino a 22 ligandi FGF, che, quando si legano all’FGFR, promuovono vari processi cellulari: proliferazione, sopravvivenza, migrazione e angiogenesi.
Le alterazioni genetiche di FGFR sono emerse come driver oncogenici in vari tipi di tumori: iCCA, carcinoma uroteliale, neoplasie mieloidi e linfoidi, ecc. Sono state osservate in tutti e quattro i sottotipi di FGFR e sono rappresentate da mutazioni puntiformi, amplificazioni geniche e riarrangiamenti cromosomici. Nell’iCCA sono state identificate prevalentemente alterazioni di FGFR2, l’85% delle quali sono fusioni. Le fusioni di FGFR2 determinano l’attivazione costitutiva, ligando-indipendente, dei pathway a valle del recettore, e quindi la tumorigenesi. La presenza delle fusioni di FGFR2 sembrerebbe essere associata ad una progressione della malattia più lenta, inoltre, funge da biomarker predittivo negativo per la chemioterapia e positivo per gli inibitori di FGFR.

Da analisi ad interim di vari studi clinici di fase I/II e II è stato riportato un beneficio clinicamente significativo per gli inibitori della tirosin-chinasi di FGFR2 in pazienti con iCCA positivo per fusioni di FGFR2. Infigratinib, pemigatinib, derazantinib e futibatinib hanno permesso di ottenere un tasso oggettivo di risposta (ORR) pari al 31%, 35,5%, 21% e 37,3% rispettivamente ed una sopravvivenza libera da progressione mediana (mPFS) di 5,8 mesi, 6,9 mesi, 5,7 mesi e 7,2 mesi rispettivamente. I tassi di controllo della malattia, variabili tra l’82% e l’83% sono stati comparabili tra gli studi clinici e i profili di tossicità associati agli inibitori di FGFR sono apparsi gestibili. Nessuna risposta è stata osservata nei pazienti con iCCA e alterazioni di FGFR2 diverse dalle fusioni, ma una stabilizzazione della malattia e una mPFS di 6,7 mesi sono state riscontrate in alcuni pazienti con mutazioni di FGFR2 trattati con derazantinib e un ORR del 17,6% è stato osservato nei pazienti con altre aberrazioni di FGF/FGFR trattati con futibatinib, che sembrerebbe anche essere in grado di superare la resistenza agli stessi inibitori di FGFR.

Un anno dopo l’approvazione accelerata di erdafitinib per il trattamento del carcinoma uroteliale positivo per alterazioni genetiche di FGFR2 o FGFR3 e progredito alla chemioterapia, lo scorso aprile l’FDA ha approvato anche il pemigatinib per il trattamento di pazienti adulti con colangiocarcinoma localmente avanzato non resecabile o metastatico, positivo per fusioni, o altri riarrangiamenti, del gene FGFR2. Determinanti per l’approvazione sono stati i risultati ottenuti nello studio clinico di fase II FIGHT-202: nei 107 pazienti reclutati, tutti con colangiocarcinoma avanzato o metastatico positivo per fusioni o riarrangiamenti di FGFR2, trattati con pemigatinib dopo almeno una prima linea con chemioterapia, l’ORR è stato del 36%, con 3 risposte complete e la DOR è stata di oltre 9 mesi.

L’analisi dei riarrangiamenti di FGFR2 può essere eseguita con diverse metodologie: immunoistochimica (IHC), ibridazione fluorescente in situ (FISH), Real Time PCR e Next Generation Sequencing (NGS), ma solo quest’ultima, proposta da Diatech Pharmacogenetics, permette di rilevare fusioni geniche note e sconosciute, con tutti i possibili partner di fusione in un’unica reazione, con sensibilità, specificità e riproducibilità superiori rispetto alle altre. Inoltre, La Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) raccomanda l’impiego di pannelli NGS multigene nella pratica clinica per il rilevamento delle alterazioni genomiche (mutazioni IDH1, fusioni FGFR2, fusioni NTRK) nel colangiocarcinoma avanzato.

Maggiori informazioni sono disponibili alla pagina www.diatechpharmacogenetics.com

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