Il test diagnostico predittivo di risposta alle aromatasi, messo a punto da Diatech, permette di determinare le più comuni mutazioni del gene CYP19A1 associate alla tossicità da AI e rappresenta pertanto un valido ausilio per la determinazione della dose appropriata e personalizzata di inibitori dell’aromatasi nell’ambito della terapia del carcinoma mammario.

Il carcinoma mammario, oltre ad essere il più frequente tipo di tumore nelle donne, è anche la prima causa di morte per cancro. Nei Paesi industrializzati il 75% di tutti i carcinomi mammari colpisce donne in post-menopausa e circa l’80% dei casi è ormono-sensibile (ER+).
Gli inibitori dell’aromatasi (AI) vengono impiegati nel trattamento del carcinoma della mammella ER+ nelle donne in menopausa. Contrariamente alle donne in età fertile, nelle quali la maggior parte degli estrogeni è prodotta dalle ovaie, nelle donne in menopausa, in seguito alla cessazione dell’attività ovarica, la sintesi degli estrogeni è legata all’attività dell’enzima aromatasi espresso a livello del tessuto osseo, adiposo e muscolare. Gli AI inibiscono l’enzima aromatasi e permettono quindi di ridurre i livelli di estrogeni con conseguente beneficio nel trattamento del tumore mammario ER+.

Per decenni il Tamoxifen ha rappresentato la terapia adiuvante standard per il trattamento del tumore alla mammella ER+ nelle donne in post-menopausa. Nell’ultimo decennio, tuttavia, gli inibitori dell’aromatasi di terza generazione (letrozolo, anastrozolo, exemestane) hanno assunto un ruolo sempre più importante nella terapia adiuvante del carcinoma mammario ER+. Due importanti trial clinici, il BIG 1-98 (Breast International Group) e l’ATAC (Arimidex, Tamoxifen Alone or in Combination trial), hanno infatti dimostrato che una terapia di 5 anni con un inibitore dell’aromatasi aumenta la sopravvivenza libera da malattia rispetto al trattamento di pari durata con tamoxifen.

I risultati dei maggiori studi clinici svolti per la valutazione dell’impiego degli inibitori dell’aromatasi in regime adiuvante, hanno evidenziato una variabilità tra pazienti nella risposta al trattamento farmacologico sia per quanto riguarda l’efficacia del trattamento che la tollerabilità dello stesso. Da questo punto di vista, gli effetti collaterali più importanti degli inibitori dell’aromatasi consistono nel rischio di fratture e nel dolore muscolo-scheletrico, che può diventare, in talune pazienti, talmente devastante da comportare l’interruzione del trattamento farmacologico. La variabilità nell’outcome clinico della terapia con AI suggerisce la possibilità di una componente farmacogenetica. Infatti, mutazioni a carico del gene CYP19A1, codificante per l’enzima aromatasi, o dei geni coinvolti nel metabolismo degli AI possono influenzare l’esito della terapia.

Riferimenti bibliografici
– The Breast International Group (BIG) 1-98 Collaborative Group. N Engl J Med 2005, 353:2747-57.
– Coates AS, Keshaviah A Thurlimann B et al. J Clin Oncol 2007, 25:486-92.
– The BIG 1-98 Collaborative Group. N Engl J Med 2009, 361:766-76.
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– Ingle JN. Cancer 2008, 112 supplement 3:695-9